Classe 1976, una laurea in giurisprudenza e la sconfinata passione per il calcio. Si cimenta in quello giocato, ma la sua carriera - complice un grave infortunio al ginocchio destro - non decolla. Ci riprova da allenatore e si dimostra da subito tagliato per il ruolo. Parte dal basso, in barba a chi lo accuserà di ritrovarsi all'Inter senza gavetta.
I primi successi li inanella a livello dilettantistico, portando i giovanissimi della Romulea a vincere il titolo nazionale nel 2003. Un anno dopo, il bis su scala regionale. Piccoli traguardi che bastano per attirare l'attenzione della Roma, la squadra per cui fa il tifo. Ad individuarlo, tra il 2005 e il 2006, è proprio Bruno Conti, uno al quale la sensibilità per il talento certo non manca.
Gli viene riservata la panchina degli Esordienti, ma Strama convince a tal punto da meritarsi - nel giro di qualche mese - la guida dei Giovanissimi Nazionali, con i quali conquista il Tricolore nel 2007. Scala le gerarchie, ma non vacilla e raramente fallisce. Porta a casa qualche altro trofeo di seconda fascia, prima di un 2010 difficile da dimenticare.
Con i suoi Allievi Nazionali vince praticamente tutto, quell'anno. Arriva prima il trionfo nel Torneo Arco di Trento (secondo per importanza solo al Viareggio in Italia), poi lo Scudetto battendo la Juventus in finale per 1-0. In quel gruppo figuravano i vari Viviani, Caprari e Piscitella, lanciati quest'anno in Serie A da Luis Enrique.
C'è un rapporto speciale con la famiglia Sensi. Non lo scalfiscono neanche le piccole incomprensioni dell'estate 2010, tra malumori contrattuali e dimissioni respinte. Il capolinea della sua avventura alla Lupa arriva con l'insediamento degli americani. Stramaccioni si ritrova fuori dai programmi della nuova proprietà, nonostante gli ottimi risultati della sua gestione. Aspetta una proposta fino all'ultimo giorno del suo contratto, poi si guarda attorno.
Il corteggiamento dell'Inter andava avanti da qualche tempo. Stramaccioni aspettava la Roma, ma era consapevole dell'interesse dei nerazzurri. E' stato dunque naturale, interrotto il rapporto con i giallorossi, sposare la causa del Biscione, più convincente nel corteggiamento rispetto alla Juventus, come ammesso dal diretto interessato la scorsa estate.
Strama ottiene quel che avrebbe desiderato avere nella capitale: un progetto a lungo termine con la Primavera nelle sue mani. Responsabilità, ma anche stimoli unici. Le idee per far bene, d'altronde, non gli mancano. E con i ragazzi sa come lavorare, quali tasti schiacciare, le chiavi per farli crescere. In campo e fuori.
Gli bastano pochi mesi per conquistare tutti, all'interno del club. Anche perchè in campo le cose vanno subito bene. La Primavera viaggia forte in campionato, dove arrivano - oltre a qualche comprensibile distrazione - gioco e risultati. E due derby vinti su due, soddisfazione che resta speciale anche a livello giovanile.
Di lui si comincia a parlare presto, in ottica prima squadra. Anche perchè i grandi, terminato il filotto vincente di Ranieri, riprendono a stentare.
La simbiosi, con il club, è totale. Arriva a parlare persino di "empatia", termine che rievoca il primo Mourinho nerazzurro. "Sono rimasto colpito dalla nostra forza e da come Moratti e Paolillo ci seguano", spiega quasi incredulo. E' il segnale di una stima che cresce rapidamente e tocca l'apice nella primavera londinese con il trionfo nella NextGen Series.
Non capita a tutti gli allenatori di ritrovarsi a 36 anni su una delle panchine più prestigiose del mondo. Strama ci avrà ragionato su, consapevole del rischio di 'bruciarsi' e della prospettiva di dover allenare ultra-trentenni - in alcuni casi anche più anziani di lui - dopo aver trascorso una vita ad allevare cuccioli di calciatore. Ma certi treni, si sa, passano una sola volta.
E' facile immaginare cosa gli abbia chiesto Moratti prima di affidargli l'Inter chiavi in mano: riconquistare la dignità persa nelle ultime settimane e gettare le basi per il ricambio generazionale che dovrà partire dal prossimo anno. Come segnale, in questo senso, il presidente non poteva essere più efficace.
Provare ad ipotizzare che Inter sarà, da un punto di vista tattico, è forse prematuro. Si parla di 4-2-3-1, ma ora più che mai i moduli e i sistemi di gioco non sembrano la priorità. Il problema è nella testa di un gruppo che sembra aver smarrito la grinta e la fame, quelle che ad un giovane allenatore 36enne proprio non possono mancare.
Stramaccioni avrà nove giornate - compreso un derby - per dimostrare di meritarsi qualcosa in più della semplice etichetta di traghettatore. Cosa meglio delle sue motivazioni, per riportare in alto i giri del motore nerazzurro?
I primi successi li inanella a livello dilettantistico, portando i giovanissimi della Romulea a vincere il titolo nazionale nel 2003. Un anno dopo, il bis su scala regionale. Piccoli traguardi che bastano per attirare l'attenzione della Roma, la squadra per cui fa il tifo. Ad individuarlo, tra il 2005 e il 2006, è proprio Bruno Conti, uno al quale la sensibilità per il talento certo non manca.
Gli viene riservata la panchina degli Esordienti, ma Strama convince a tal punto da meritarsi - nel giro di qualche mese - la guida dei Giovanissimi Nazionali, con i quali conquista il Tricolore nel 2007. Scala le gerarchie, ma non vacilla e raramente fallisce. Porta a casa qualche altro trofeo di seconda fascia, prima di un 2010 difficile da dimenticare.
Con i suoi Allievi Nazionali vince praticamente tutto, quell'anno. Arriva prima il trionfo nel Torneo Arco di Trento (secondo per importanza solo al Viareggio in Italia), poi lo Scudetto battendo la Juventus in finale per 1-0. In quel gruppo figuravano i vari Viviani, Caprari e Piscitella, lanciati quest'anno in Serie A da Luis Enrique.
C'è un rapporto speciale con la famiglia Sensi. Non lo scalfiscono neanche le piccole incomprensioni dell'estate 2010, tra malumori contrattuali e dimissioni respinte. Il capolinea della sua avventura alla Lupa arriva con l'insediamento degli americani. Stramaccioni si ritrova fuori dai programmi della nuova proprietà, nonostante gli ottimi risultati della sua gestione. Aspetta una proposta fino all'ultimo giorno del suo contratto, poi si guarda attorno.
Il corteggiamento dell'Inter andava avanti da qualche tempo. Stramaccioni aspettava la Roma, ma era consapevole dell'interesse dei nerazzurri. E' stato dunque naturale, interrotto il rapporto con i giallorossi, sposare la causa del Biscione, più convincente nel corteggiamento rispetto alla Juventus, come ammesso dal diretto interessato la scorsa estate.
Strama ottiene quel che avrebbe desiderato avere nella capitale: un progetto a lungo termine con la Primavera nelle sue mani. Responsabilità, ma anche stimoli unici. Le idee per far bene, d'altronde, non gli mancano. E con i ragazzi sa come lavorare, quali tasti schiacciare, le chiavi per farli crescere. In campo e fuori.
Gli bastano pochi mesi per conquistare tutti, all'interno del club. Anche perchè in campo le cose vanno subito bene. La Primavera viaggia forte in campionato, dove arrivano - oltre a qualche comprensibile distrazione - gioco e risultati. E due derby vinti su due, soddisfazione che resta speciale anche a livello giovanile.
Di lui si comincia a parlare presto, in ottica prima squadra. Anche perchè i grandi, terminato il filotto vincente di Ranieri, riprendono a stentare.
La simbiosi, con il club, è totale. Arriva a parlare persino di "empatia", termine che rievoca il primo Mourinho nerazzurro. "Sono rimasto colpito dalla nostra forza e da come Moratti e Paolillo ci seguano", spiega quasi incredulo. E' il segnale di una stima che cresce rapidamente e tocca l'apice nella primavera londinese con il trionfo nella NextGen Series.
Non capita a tutti gli allenatori di ritrovarsi a 36 anni su una delle panchine più prestigiose del mondo. Strama ci avrà ragionato su, consapevole del rischio di 'bruciarsi' e della prospettiva di dover allenare ultra-trentenni - in alcuni casi anche più anziani di lui - dopo aver trascorso una vita ad allevare cuccioli di calciatore. Ma certi treni, si sa, passano una sola volta.
E' facile immaginare cosa gli abbia chiesto Moratti prima di affidargli l'Inter chiavi in mano: riconquistare la dignità persa nelle ultime settimane e gettare le basi per il ricambio generazionale che dovrà partire dal prossimo anno. Come segnale, in questo senso, il presidente non poteva essere più efficace.
Provare ad ipotizzare che Inter sarà, da un punto di vista tattico, è forse prematuro. Si parla di 4-2-3-1, ma ora più che mai i moduli e i sistemi di gioco non sembrano la priorità. Il problema è nella testa di un gruppo che sembra aver smarrito la grinta e la fame, quelle che ad un giovane allenatore 36enne proprio non possono mancare.
Stramaccioni avrà nove giornate - compreso un derby - per dimostrare di meritarsi qualcosa in più della semplice etichetta di traghettatore. Cosa meglio delle sue motivazioni, per riportare in alto i giri del motore nerazzurro?